Critics
Ivano Gonzo ha partecipato a numerose rassegne, sia personali che collettive;
della sua pittura si sono interessati critici quali: Emanuela Allegri, Fabio Bianchi, Luciano Carini, Stefania Carozzini, Grazia Chiesa, Bruno Cogo, Pedro Fiori, Piero Franceschetti, Giuliano Menato, Alessandro Mozzambani, Manlio Onorato, Barbara Pascoli, Aldo Maria Pero, Pierre Restany, Marica Rossi.
Recensioni della sua pittura sono apparse su: L’Adige, La Domenica di Vicenza, il Corriere dell’Arte, il Gazzettino Illustrato, il Gazzettino, il Giornale di Vicenza, La Gazzetta di Parma, Nuova Vicenza, il Resto del Carlino, La Voce dei Berici.
“Ritorna il pittore Ivano Gonzo alla galleria Studio C, via Campesio 39, con la personale Oltre il segno, allestita fino a giovedì. E’ interessante, molto interessante, l’evoluzione dell’arte del vicentino Gonzo, impegnato e richiesto a livello anche internazionale.
Dalle iniziali istanze realistiche e figurative, ha poi privilegiato un Informale assoluto, rigoroso, “oltre il segno”. Perché la componente segnica rimanda troppo al reale, è troppo agganciata alla materialità, effigia oggetti magari troppo abusati. Le sue opere – tecnica mista nota solo a lui, ma miscela visivamente efficacissima – sono stesure di colori anche naturali sia uniformi che compenetrati fra loro, predominando un bianco sporco. Le sue composizioni sono eleganti diaframmi, parvenza di realtà che celere trasmigra verso la spiritualità?
Certo Informale è debitore alla generica internazionalità, a uno stile cioè poco approfondito, un approccio artificioso e spesso routinario. Gonzo ha invece elaborato una sintesi visiva intrigante per la progressiva rarefazione, per il senso di evanescenza trasmesso. Senso della sua arte? La pittura ha ormai raggiunto livelli di trascendenza e di intensità emotiva altissimi in ogni contesto. Qui solo poche stesure cancellano il o i troppo referenziali segni per fissare sentimenti ora celati e indefiniti, fra pochi anni però cifra stilistica accettata e diffusissima.”
Fabio Bianchi (novembre 2016)
“Espressione di forte impatto visivo quella praticata da Ivano Gonzo perché resa volutamente scarna, spoglia, essenziale.
Pittura che trae ispirazione dalle bellezze della natura ma che, anziché esaltare il colore, gradualmente si prosciuga vestendosi di polvere e cenere, di tinte grigie e ferrigne a richiamare con evidente chiarezza le crudezze della vita, le problematiche umane ed esistenziali dei nostri giorni complessi.
Arte fortemente poetica e percorsa sempre da una sottile malinconia, una sorta di intima e profonda meditazione interiore di leopardiana memoria.
Si avverte, nelle opere di questo bravissimo artista, il bisogno di bandire tutto ciò che è inutile e dispersivo, omologato e globalizzato per raggiungere di ogni cosa la sostanza e della vita l’essenza.
Paesaggi assorti e silenti, una realtà trasfigurata che diventa visione interiore, viaggio nell’anima e nella coscienza.”
Luciano Carini (dicembre 2015)
“Per Ivano Gonzo la pittura è un esercizio vitale, un bisogno dell’animo, un appagamento di intime ispirazioni.
Per questo egli la pratica istintivamente, senza assillanti preoccupazioni critiche, cercando di migliorare possibilmente la qualità del suo lavoro sulla base dei riscontri immediati che egli nota con occhio attento e sensibile.
Gonzo ha capito una cosa fondamentale: all’arte non interessa l’oggetto della rappresentazione, ma la qualità dell’espressione.
Sulla base di questo principio egli è passato da una prima fase di marcata impronta figurativa, nella quale risultava evidente lo sforzo di assumere l’immagine come pretesto di un più libero sfogo pittorico, alla fase attuale, in cui la materia cromatica informe, variamente distribuita sulla tela, disfa ogni parvenza oggettiva, impregnata però ancora degli umori della realtà, imbevuta delle sue luci. Così in effetti, la differenza che c’è tra i due momenti, dipende dal fatto che la pittura risponde ora soltanto a se stessa, all’uso che viene fatto dei mezzi espressivi.”
Giuliano Menato (da “Il Gazzettino di Venezia”, maggio 1989)
“Rinunciando a facili effetti di colore e di prospettiva, Gonzo pratica una pittura austera, spoglia, fredda, di carattere meditativo, tesa a cogliere valori ideali profondi.
A prima vista s’intravedono paesi folgorati, svanenti entro un abbaglio luminoso, dal quale affiorano lievi parvenze di campagne e casolari.
Quindi avvicinandoci vediamo un magma di colore biaccoso che si spande e prolifera, fino a formare vaghe immagini di paesi incantati fuori del tempo, pervasi da un senso di spirituale immanenza.
Il gusto della materia grassa può avere una suggestione tattile e sensuale, mentre l’elemento formale prevalente è qui lo slancio gestuale che esprime entusiasmo e voglia di cambiare il mondo.”
Piero Franceschetti (da “La Voce dei Berici”, giugno 1989)
“Sono dipinti, spesso di grandi dimensioni, dai toni ferrigni e cinerei, appena riscaldati da qualche cenno di giallo, rosso, rosa o blu a completare l’austera tavolozza.
Dipinti che verrebbe voglia di definire astratti e informali, se non si avvertissero in essi motivi naturalistici che ci autorizzano a considerarli pur sempre paesaggi.
Non sono quadri sereni e rassicuranti, tutt’altro. La sottile malinconia che emana dal dipinto non sfugge certo alla dura concretezza dell’esistenza, che viene anzi esibita senza finzioni.”
Manlio Onorato (da “La Nuova Vicenza”, 1992)
“Una pittura che esce dagli schemi per farsi banditrice della più libera espressione della vita interiore dell’artista, privilegiando cromatismi di rarefatta bellezza pur senza dimenticare l’esistenza della materia.
La pittura di Gonzo si pregia di una tavolozza estremamente sobria e tutta giocata su tonalità che dal nero tendono al grigio-azzurro e al terra di Siena Cruda dentro bianchi diluvi.
Di qui il punto di partenza per una ricerca che gli consente di far emergere dal tessuto tenero dei sedimenti psichici, presenze e ritmi di delicate cadenze evocative.”
Marica Rossi (da “Il Giornale di Vicenza”, 1994)
“Ivano Gonzo ha costruito nel tempo modi e tecniche sue originali per esprimere il proprio immaginario rispondendo ad un bisogno di armonia e di raffigurazione di quella natura i cui richiami e le cui forme egli ha interiorizzato fin dall’infanzia.
Da quel vagheggiamento fantastico ha dunque derivato un linguaggio che, trasferito su tele, carte e supporti lignei, ha dato vita a composizioni sviluppate nel senso della verticalità, declinando la visualizzazione paesaggistica dei suoi colli.
Mediante paste cromatiche di sua invenzione, ha quindi decantato quanto di misterioso risuona nella concretezza di quelle immagini generando le apparizioni liriche da noi ammirate per il potere evocativo che emanano.
Sono loro ad abitare i suoi dipinti stranamente comunicandoci anche l’idea di percezioni tattili, di sensazioni epidermiche di quando sfioriamo la corteccia degli alberi, sfariniamo zolle e sabbie, accarezziamo il ruvido dei muri e delle pietre.
Una volta acquisita una tale dimensione, Ivano Gonzo, su suggerimento dì Pierre Restany, studioso dell’avanguardia e teorico del Nouveau Réalisme, è stato sospinto a non dipendere più da un andamento necessariamente verticale, volgendosi a mutamenti che ne ampliassero i riferimenti e le prospettive.
Ha riscoperto allora leopardianamente quello spazio incommensurabile fatto di una immaginazione che, partendo dai dati empirici, giunge per astrazione a quel senso di infinito cui pure la sua arte induce.”
Marica Rossi (maggio 2005)
“Esistono due grandi categorie del fare arte: la prima immette nell’opera quanti più elementi possibile, alla ricerca dell’esaustività; la seconda seleziona dal giardino dell’arte solo quanto è necessario all’economia del racconto interiore dell’artista.
Dalla massa informe della vita Ivano ha scelto di levare, piuttosto che di aggiungere, e questo gli costa fatica.
Gli strati di colore, stesi sulla tela con veemenza senza interrompere il flusso magico che va dalla mente al pennello, dall’occhio alla spatola, esprimono questa tensione verso l’essenza del segno, del senso, del significato, nel tentativo di soggiogare la ricchezza da ogni parte sfuggente della vita, trasformandola in qualcosa di diverso.
Ivano ha ascoltato l’invocazione di Willa Cather: ha gettato tutta la mobilia dalla finestra, e assieme ad essa, tutte le ripetizioni prive di significato. Si è spogliato di forma e colore per riuscire a carpire anche solo alcuni frammenti dell’Essenza, per andare oltre il segno… per entrare nel sogno.”
“Le due tele di Ivano Gonzo recano il significativo titolo di Oltre il segno, che non costituisce solo una semplice definizione, ma anche, e soprattutto, una più generale dichiarazione d’intenti estetici.
I vasti piani di cui l’artista si compiace negli smorti colori che sembrano voler timidamente sfiorare un’ardua materia sono in realtà l’invito a superare la componente, esteriore e quasi tangibile, di una vasta landa per intraprendere un viaggio che dalla concretezza del segno terrestre conduce ad un universo di pensiero che sfugge all’analitica descrizione per attingere valori metafisici.
Con ciò Gonzo non aspira ad accodarsi alla corrente di Metafisica, ma desidera tracciare un sentiero di laica meditazione sull’universo che ci circonda.”
“Amo il colore di frontiera” è il verso di una poesia che mi ha particolarmente colpito del pittore Ivano Gonzo. E veramente questo artista veneto è giunto ad una meta “alta” nella ricerca in pittura, dell’assoluto.
Nei suoi dipinti le campiture sono stesure vibranti di luce che contengono dei segni e delle presenze che ci inducono ad interrogarci.
I nostri occhi, i nostri cuori, così assaliti nel quotidiano da immagini a volte cruente trovano, osservando le opere di Gonzo, uno spazio di puro, benefico silenzio.
“Dalla pittura figurativa praticata negli anni ’70, Gonzo è passato successivamente all’espressionismo, per perfezionare, intorno al 1990, la tecnica analitica.
Attualmente le sue opere si caratterizzano per un genere di pittura autoriflessiva; l’artista medita su alcuni elementi fondamentali, quali il segno, la materia e il colore.
Nei miei dipinti-spiega Gonzo- il segno è sempre qualcosa di mutevole. Mi fa percepire il tempo che inesorabilmente trascorre e che ha condiviso con me le sensazioni vissute finora.”
Bruno Cogo (da “Il Giornale di Vicenza”, 1997)
“E’ un lavoro di scomposizione dopo una riduzione continua sul motivo del paesaggio.
Prima la natura, poi gli alberi subiscono un ordine razionale; il colore crea sulla superficie zone ruvide di un colore grigio azzurro, raffinato e sommesso.
Dei rami e dei tronchi precedenti resistono solamente delle tracce verticali, variegate di un colore che rimanda ai cieli e alla materia boschiva.”
(da “La Domenica di Vicenza”, 1998)
“Nelle opere di Ivano Gonzo il colore si fa imprevedibile e l’occhio è ingannato dalla materia pittorica che sembra disfarsi, sino al momento in cui non interviene il tatto, che coglie l’estremità dove un colore inizia e l’altro finisce: se a tutto questo si aggiunge che il ‘bianco che canta’ sembra glassa da gustare e che il silenzio della riflessione è preferito alle parole, si coglie in pieno l’attivazione di tatto e gusto a scapito di vista e udito.”
Emanuela Allegri (da “Il Corriere dell’Arte”, marzo 2000)
“Ivano Gonzo gioca sulla stesura cromatica e sugli effetti degli spessori; il suo operare appare essenzialmente legato all’assenza di forme e ai significati che vanno acquisendo spazio e colore in immagini formate da chiari, tenue campiture dove si insinuano, quali elementi tattili, grumi di materia.”
(da “La Gazzetta di Parma”, febbraio 2000)
“Avete mai provato la libidine di toccare qualcosa di proibito? Chi non ricorda quando da bambini, entrando in un supermercato o in un negozio con qualcuno che aveva il compito di tenere a bada i nostri movimenti, e presi da tanto gusto di toccare tutto ciò che era a portata di mano, sentivamo la solita litania, nontoccarechenonsipuò. Questa frase sentita più volte, si sarà forse stampata in un angolo del nostro cervello. Ecco che allora il piacere del tatto, il godimento del toccare e di possedere l’oggetto almeno per un secondo, acquisterà più avanti il fascino del proibito. Forse perché il senso del tatto è connesso col piacere.
Visto che parliamo di arte, e ancora una volta per riportare alla nostra mente un’esperienza comune, legata all’opera d’arte collocata in un museo o in altra sede, anche in questo caso, siamo di fronte al “guardare e non toccare”, al di là degli ovvi motivi di riguardo e di salvaguardia delle opere. Per essere più in tema, è proprio vero che la pittura e la bellezza è tutta da vedere e niente da toccare? Le percezioni tattili della pittura, che oggi resiste all’incorporeità virtuale, è il territorio espressivo nel quale si muove Ivano Gonzo. Particolarmente attento agli elementi costitutivi dell’opera, evidenzia la materia di cui è fatta, la natura del supporto su cui vengono stesi i colori, la trama della tela, la ruvidità, la levigatezza delle superfici e gli spessori; ci dimostra che un’ottica sinestetica si può stimolare il senso del tatto con un solo sguardo.
Ci si può immaginare cioè un dato oggetto tanto da toccarne virtualmente il peso, la durezza, la morbidezza, la sofficità. Anche la poesia suscita sensazioni epidermiche. Per passare alle metafore, si dice che la parola va usata con il maggior “tatto” possibile.
Ciò che si vede e si tocca è percepito in modo più intenso di ciò che si vede soltanto e a maggior ragione quando si parla di opera d’arte il cui scopo è quello di attivare delle risposte e di comunicare nel più ampio raggio possibile.
Quando si parla di sensi si parla di fisicità, di corporeità, così il corpo, in tutta la sua interezza, e tanto più è coinvolto, entra a far parte dell’esperienza e si sente partecipe, assimila altre nozioni, impara con altre modalità.”
Stefania Carrozzini (novembre 2001)